
La Commissione Europea ha comminato una maxi-multa di 110 milioni di euro a Facebook, colpevole di aver fornito informazioni non corrette e fuorvianti all’Antitrust Ue durante la revisione preliminare sui profili di concorrenza, per il via libera all’acquisizione da 19 miliardi di dollari di WhatsApp che risale al 2014.
Antitrust italiano in anticipo
Come ha fatto l’Antitrust italiana, apripista a livello globale in questo senso, che non più tardi di venerdì scorso (in anticipo sull’Antitrust Ue) ha comminato una multa di 3 milioni di euro a Facebook, per la cessione dei dati di WhatsApp in violazione delle norme di tutela dei consumatori, indotti “ingannevolmente” a cedere i dati al social media pena l’interruzione del servizio di messaggistica istantanea.
Due giorni fa è stata la volta delle autorità francesi, che tramite il Cnil, il Garante Privacy transalpino, hanno comminato una luta di 154 milia euro al social network per un caso diverso, che non riguarda in specifico WhatsApp, ma la mancata informazione degli utenti sulla raccolta massiccia dati di navigazione (anche su altri siti) a scopi di marketing.
In conclusione, i dati sono il nuovo petrolio dell’economia globale e di conseguenza hanno un valore economico, lo dicono un po’ tutti gli esperti e non. Il valore del dato va quindi tutelato e quantificato, al di là della “favola bella” dei servizi forniti gratuitamente dai player della rete. Ed è proprio questo che stanno cominciando a fare le autorità della Ue, anche perché i Big Data saranno sempre più un fattore importante di valutazione in sede di merger.
Informazioni lacunose e incomplete
Il Commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager:“La decisione odierna manda un messaggio chiaro alle aziende sul fatto che devono rispettare tutti gli aspetti che toccano le regole Ue sulle fusioni, compreso l’obbligo di fornire informazioni corrette”. Vertager, determinata fino in fondo a difendere i diritti dei cittadini Ue di fronte allo strapotere dilagante dei grandi player Usa del web.
Il regolatore europeo ha dato l’ok all’acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook alla fine del 2014, non riscontrando motivi rilevanti per cui l’operazione avrebbe danneggiato la concorrenza nel mercato dei social media.
Ma evidentemente le cose non sono andate così, visto che nel suo comunicato di ieri la Commissione Ue ricorda come nel 2014 Facebook abbia notificato alle autorità europee che l’azienda “non avrebbe realizzato sistemi automatici di condivisione (matching) fra gli account degli utenti di Facebook e gli account degli utenti di WhatsApp”.
In altre parole, il disco verde all’operazione è stato dato perché Facebook ha assicurato che i due player non avrebbero condiviso i dati dei rispettivi utenti, mantenendo distinti database.
Ma le cose sono andate diversamente, visto che “nell’agosto del 2016 WhatsApp ha annunciato degli aggiornamenti dei termini di servizio e di policy sulla privacy, compresa la possibilità di collegare i numeri di telefono dei suoi utenti con i rispettivi account Facebook degli utenti”, si legge nella nota della Commissione.
Un’operazione che di fatto induceva gli utenti di WhatsApp a cedere i loro dati a Facebook tra l’altro a scopi esplicitamente commerciali, per campagne pubblicitarie sugli account del social media.
L’esito dell’indagine avviata dalla Commissione l’anno scorso “ha riscontrato che, al contrario di quanto dichiarato da Facebook in fase di analisi pre-fusione nel 2014, la possibilità tecnica di condividere automaticamente le identità degli utenti di WhatsApp e Facebook esisteva già nel 2014, a che lo staff di Facebook ne era pienamente consapevole”.
C’è da dire che dopo l’apertura dell’indagine sulla cessione automatica dei dati di WhatsApp a Facebook nell’agosto del 2016, a novembre il social media di Marc Zuckerberg ha interrotto la pratica nella Ue.
La maxi multa odierna non pregiudica in alcun modo la fusione fra le due aziende.
La Commissione precisa inoltre che il provvedimento non incide in alcun modo su altre eventuali indagini da parte di autorità Antitrust o Privacy (quella italiana sta indagando) in corso nei singoli stati della Ue. In altre parole, le autorità nazionali possono tranquillamente procedere in autonomia.
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